"I Messa, il metal e il mainstream".
Poche settimane fa è uscito il nuovo album dei veneti Messa, una band che avevo colpevolmente trascurato e che solo la pandemia del 2020, e il molto tempo a disposizione, mi avevano dato modo di scoprire. Così, già nel 2022 avevo recensito il precedente disco, Close, che era stato uno dei miei ascolti preferiti di quell’anno: un album ricco di sfumature, sonorità e policromie che, partendo da un elegante stoner/doom comunque tradizionale, incamerava nel sound diversi stili, toccando numerosi generi, anche distanti da quello di appartenenza. Ascoltando questo nuovo The Spin, sembra che i Messa abbiano fatto un ulteriore passo avanti nella loro ricerca sonora dato che, per loro stessa ammissione, alla commistione di stili e generi finora esplorati, hanno aggiunto richiami alla dark Wave degli anni ‘80. Il risultato è strabiliante, dal momento che The Spin va oltre rispetto a quanto fatto nei pur validissimi, se non ottimi, capitoli discografici precedenti, in particolar modo Close, un disco se vogliamo irripetibile, ricco com’era di suggestioni mediterranee che si intersecavano a perfezione con il doom rockeggiante, trademark dei Messa fino a questo momento. Quel che stupisce di questa band è la capacità di personalizzare un sound che, come detto, parte comunque da elementi noti ma che la perizia tecnico – compositiva, il gusto e l’eleganza del quartetto riesce a rendere immediatamente riconoscibile. Già, perché l’avvicinamento a certe sonorità goticheggianti, figlie degli anni ’80, poteva far correre il rischio di essere assimilati troppo ad altre band del filone con voce femminile, perdendo in peculiarità mentre il risultato finale è degno dello spessore artistico dei veneti. La cosa più gratificante dei Messa, secondo il mio parere, è che non sono così classificabili ed inquadrabili, la loro poliedricità li rende un unicum nel panorama attuale e la manciata di brani che compone questo disco ne è la riprova: dal gusto chitarristico espresso in ogni aspetto, ritmico e solistico, e che è particolarmente evidente nei due brani in apertura Void Meridian e At Races, al feeling pianistico di Immolation, per arrivare ad un utilizzo anche di strumenti non particolarmente usuali nel metal, come l’intermezzo di tromba in The Dress. In tutto ciò, la splendida voce di Sara, la vocalist, si insinua in questo tessuto sonoro per valorizzare al meglio ogni traccia, ora in maniera più energica ora più suadentemente. Non mancano episodi più tipicamente doom, come la conclusiva Thicker Blood, quasi a voler chiarire le origini della band. Insomma, questo The Spin ha tutte le carte in regola per essere considerato un degno successore dell’immenso Close e, se già c’è qualcuno che rimpiange i Messa delle origini, ritenendo queste aperture melodiche rarefatte troppo mainstream, non c’è dubbio che il nuovo album sta già mietendo consensi su consensi, permettendo alla band di raggiungere la posizione n. 14 degli album “fisici (quindi non streaming, per intenderci)” più venduti in Italia. E questo, come la si vuol mettere è comunque un grande risultato. Ma tutto ciò mi fa andare ancora oltre e voglio ampliare la mia riflessione: chi l’ha detto che il metal, per essere di qualità, debba per forza di cose essere di nicchia? Dove sta scritto che se il metal raggiunge più persone conseguentemente fa schifo? Sì, è vero: il metal non è musica per le masse e, laddove ha provato ad approcciare ad un pubblico più numeroso, spesso si è snaturato; ma se una band fa il suo dovere, rimanendo coerente a sé stessa, scrivendo musica di ottima qualità e tenendo fede al suo pubblico, per quale motivo dovrebbe essere disprezzata solo perché ai suoi fans se n’è aggiunge un’altra buona fetta? Del resto io e i miei “fratelli di metal” in questo siamo molto diversi: la frangia più oltranzista di metallari detesta a prescindere che una band del “nostro” panorama ottenga popolarità e visibilità anche fra chi, abitualmente, ascolta altra musica. Lo dimostra chiaramente anche un altro episodio verificatosi qualche settimana fa: nel pieno di un suo concerto, Brunori Sas (nome d’arte di Dario Brunori, cantautore calabrese) ha accennato il riff di Master Of Puppets dei Metallica durante un suo concerto per rimarcare le proprie origini musicali, che affondano anche nel metal. C’è stato chi ha applaudito alla scelta, chi si è incuriosito non sapendo che il buon Dario amasse il metal, ma c’è stato anche chi, storcendo un po’ il naso e alzando il ditino come il più detestabile dei secchioni, ha tirato fuori il repertorio: “Ma allora perché non suona metal, invece di andare a Sanremo?”; “Ma allora perché non ha fatto un altro pezzo, visto che Master Of Puppets, grazie a Stranger Things, la conoscono anche i sassi?”; “Ma
allora perché non l’ha suonata tutta?”; “Ma allora perché non ha scelto una canzone di un’altra band? I Metallica sono mainstream!”, e via con una serie di banalità che danno ragione a quelli che vogliono i metallari gretti, retrogradi e chiusi nel loro guscio. E non finisce qui perché in questi giorni si è diffusa la notizia che i Linkin Park suoneranno alla finale di Champions League mentre i Metallica al Gran Premio di Formula 1 ad Abu Dhabi: apriti cielo! I commenti di molti si sono divisi fra “Peste li colga!” e “Va beh, ma quando mai i Linkin Park sono stati metal! Al massimo, fanno pop con le chitarre distorte! E i Metallica sono la metal band più mainstream del mondo (aridaje, N.d.A.)!”. Quindi, due eventi extra musicali estremamente popolari vengono corredati dall’esibizione di due rock band (non mi dilungo esprimendo il mio giudizio su quanto metal siano l’una e l’altra) di fama internazionale e, invece di essere finalmente soddisfatti del fatto che il mondo si accorga di noi, ce ne lamentiamo perché vogliamo essere i depositari, gli eletti, i prescelti della musica che conta e che gli altri non sono degni di ascoltare! No, io non sono mainstream, non sono popular, ma certi discorsi non li capirò mai! E se i Messa stanno al 14° posto della classifica italiana dei dischi più venduti non posso che gioirne!

